2011-08-16

Quando rischi di morire, è quasi impossibile non esserne segnati, anche se apparantemente la vita continua come prima


La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente (Arthur Schopenhauer).

Qualche tempo fa ho avuto modo di intervistare un amico con un problema di salute. Passati ormai sei mesi da quella intervista, gli ho chiesto se se la sentiva, come ripromesso nel post dell'epoca, di rispondere a qualche altra domanda. Se scoprire di avere un problema di salute può essere traumatico, anche un decorso ospedaliero è un avvenimento irto di spine. Me ne ricordo per una esperienza avuta (ma neanche lontanamente paragonabile a quella del mio amico) dove sono stato una settimana in ospedale, più che altro per controlli e per investigare un male di non facile identificazione. Il primo giorno di ricovero è stata dura, da una attività normale a fare praticamente niente è stato un invito a stare anche peggio aggiungendo false informazioni all'analisi del male che avevo con mal di testa e altro.... Poi, alla fine della degenza, con un quadro un po' più chiaro, si può uscire e convivere con i propri problemi avendo una visione della vita più aperta, se vogliamo anche un po' menefreghista. Sentimenti che il mio amico penso sia riuscito ad evidenziare molto bene in questa intervista. Il tema è molto personale, quindi può apparire anche fuori luogo il parlare di sofferenze interiori spiattellandole ai quattro venti di internet. Ma in questo penso che vivere esperienze particolari porti ad avere visioni più aperte della vita ed essere di conforto anche per altre persone.  
Bando alle ciance, buona lettura!

D.: Allora, è passato ormai un semestre dall'altra intervista: come andiamo?
R.: Mi sento bene, ho iniziato a fare dell'attività fisica e questo mi fa sentire pieno di energia e di voglia di fare

D.: La degenza puo' apparire un vero tormento per le persone ricoverate. Tu come la hai affrontata? Hai qualche suggerimento per viverla meglio?
R.: Tutto è relativo, dipende sia dal tipo di problema per cui ti devi ricoverare e dal carattere del paziente. Nel mio caso è stata una scelta voluta fortemente, dopo 10 chemio del primo e secondo livello dovevo sfruttare al meglio la remissione dalla malattia per cercare di non ricadervi più, avevo la minaccia di ricominciare da capo a spronarmi, anche se ero consapevole che non si trattava di una passeggiata.

D.: Durante ogni ricovero ci sono momenti belli e brutti. Senza andare troppo nel personale,
sei riuscito a superare quelli brutti senza che ti abbiano segnato in profondità?
R.: Quando rischi di morire, è quasi impossibile non esserne segnati, anche se apparantemente la vita continua come prima, ci sono sensazioni, modi di interagire con le varie problematiche che avverti essere cambiate, nel mio caso mi sento più distaccato, dò alle avversità un valore diverso.

D.: Hai avuto la fortuna di alternare i momenti positivi a quelli negativi oppure i secondi sono arrivati tutti in un momento?
R.: Si sono concentrati nel momento più delicato, cioè quando le chemio mi stavano azzerando le difese immunitarie e prima che il trapiato delle staminali facesse effetto, causandomi una grave infezione intestinale.

D.: Se non ricordo male sei dovuto stare in una sorta di isolamento: sei riuscito comunque ad avere un buon rapporto umano con medici e conoscenti?
R.: Si è trattato di un isolamento vero e proprio, oltre 30 gg. in una stanzetta con lo spazio necessario al letto e un piccolo tavolo di metallo, le visite rilegate a collegamenti video e audio nei momenti cruciali, a fare indossare tutta una serie di indumenti protettivi ai visitatori nei casi migliori. Anche le comunicazioni per telefono erano in secondo piano rispetto alle varie medicazioni, visite, prelievi e stati fisici. Per quello che riguarda i rapporti umani con i medici sono stati molto soddisfacenti, tanto che uno di loro notava che ero sempre sorridente durante le visite.

D.: Ricordo che il giorno delle dimissioni dall'ospedale non passava piu': il medico per l'ultima firma non arrivava ed io volevo tornare a casa. E' stato così anche nel tuo caso?
R.: Il mio caso è un po' delicato, per il trattamento cui sei sottoposto sai che sei immunodepresso e la cameretta sterile rappresenta una nuova placenta dove finisci per sentirti protetto, non a caso c'è chi festeggia un nuovo compleanno il giorno del trapianto di midollo, e anche le condizioni fisiche alla dimissione non sono ottimali, avevo delle gambe più del doppio del volume normale con notevole difficoltà a muovermi, dato anche la lunga degenza fermo nel letto e quindi c'era si il deisderio di tornare a casa, ma con tutte le problematiche del caso.

D.: La prima cosa che hai fatto una volta dimesso?
R.: Non c'è una prima cosa, non pensavo a vivere, ma a sopravvivere, a riposare, a cercare di mangiare nonostante la nausea, lo stomaco chiuso da oltre 10 giorni di digiuno, a tutte le medicine da prendere.

D.: Penso che un'esperienza cosi' comunque fortifichi lo spirito: in quali aspetti nel tuo caso?
R.: Nel considerare le avversità con più distacco. La vita, la salute, è un dono che diamo per scontato perchè l'esperienza comune ce le fanno apparire come normali e le nostre frustrazioni vengono causate da problemi pratici che prescindono da queste, ma chi è stato un passo dal perderle ne riesce a capire il valore.

D.: Una lunga degenza necessità dopo anche di lunghe cure e tanti controlli: sei tranquillo?
R.: Mi sono spesso chiesto se fosse meglio sapere quando avverrà la propra morte. Ora posso dire che è una fortuna non saperlo: quando hai un tumore, come nel mio caso che si è accresciuto in maniera subdola, senza manifestarsi che quando ne ero pieno, ti rimane un senso di essere in scacco, cioè non hai dei riferimenti, non posso dire se mi succede questo, allora... La mia malattia non mi ha dato segni premonitori e quindi sono tranquillamente allarmato, nel senso che sono consapevole che può ricomparire, senza manifestarsi, così come le cure cui sono stato sottoposto possono causare altri guai, l'unica cosa è sottopormi ai controlli che mi prescrivono e stare in allerta.

D.: Malgrado tutto quello che ti sta accadendo, pensi comunque di aver fornito delle informazioni maggiori ai medici per arrivare in un futuro a curare semplicemente problemi come il tuo?
R.: Per curare semplicemente problemi come il mio c'è bisogno di ricerca, non di esperienza, sono gli anticorpi monoclonali che aggredendo direttamente le cellule cancerose preservano il resto curando la malattia; passi avanti ne sono stati fatti, ma per ora è sempre necessario ricorrere a chemio terapia che sono sostanze tossiche non mirate e cortisonici che possono creare molti problemi alla milza, fegato, reni, ecc. e causare il diabete

D.: Ultima domanda: cosa diresti ora a chi dovesse iniziare un percorso per un problema analogo al tuo?
R.: Il linfoma ha caratteristiche mutevoli e le reazioni degli ammalati sono le più disparate, ciscuno ha delle problematiche diverse e reagisce a modo suo. In generale consiglio di cercare di rimanere il più possibile tranquilli, "o.k. ho un tumore, ma posso cercare di curarlo, non ho garanzie, ma posso lottare".Nel turbinio che ti sconvolge, si dovrebbe essere abbastanza lucidi da poter scegliere la divisione ospedaliera dove c'è il percorso curativo affidato ad un solo dottore, è importante avere sempre lo stesso referente che impara a conoscerti e può più facilmente capire la situazione. Quindi affidarsi alle cure proposte, io non conosco scorciatoie, e, per quanto possibile, prenderla con filosofia, non farne un dramma, altri ci sono passati prima e altri ci dovranno passare e provarci fino alla fine, affrontando giorno per giorno.

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