2011-07-30

Incepparsi dopo "baciò la sua petrosa Itaca Ulisse"

Che differenza c'è tra poesia e prosa? La poesia dice troppo in pochissimo tempo, la prosa dice poco e ci mette un bel po'. (Charles Bukowski)

Il mago di Natale  (Gianni Rodari)


S'io fossi il mago di Natale
farei spuntare un albero di Natale 
in ogni casa, in ogni appartamento
dalle piastrelle del pavimento, 
ma non l'alberello finto, 
di plastica, dipinto
che vendono adesso all'Upim:
un vero abete, un pino di montagna, 
con un po' di vento vero
impigliato tra i rami,
che mandi profumo di resina
in tutte le camere, 
e sui rami i magici frutti: regali per tutti.


Poi con la mia bacchetta me ne andrei
a fare magie
per tutte le vie.


In via Nazionale
farei crescere un albero di Natale
carico di bambole
d'ogni qualità, 
che chiudono gli occhi 
e chiamano papà, 
camminano da sole, 
ballano il rock an'roll
e fanno le capriole.
Chi le vuole, le prende:
gratis, s'intende.


In piazza San Cosimato
faccio crescere l'albero 
del cioccolato; 
in via del Tritone
l'albero del panettone
in viale Buozzi
l'albero dei maritozzi,
e in largo di Santa Susanna
quello dei maritozzi con la panna.


Continuiamo la passeggiata?
La magia è appena cominciata:
dobbiamo scegliere il posto 
all'albero dei trenini:
va bene piazza Mazzini?


Quello degli aeroplani
lo faccio in via dei Campani.


Ogni strada avrà un albero speciale
e il giorno di Natale
i bimbi faranno 
il giro di Roma
a prendersi quel che vorranno.


Per ogni giocattolo
colto dal suo ramo
ne spunterà un altro
dello stesso modello 
o anche più bello.


Per i grandi invece ci sarà
magari in via Condotti
l'albero delle scarpe e dei cappotti.


Tutto questo farei se fossi un mago.
Però non lo sono
che posso fare?
Non ho che auguri da regalare:
di auguri ne ho tanti,
scegliete quelli che volete,
prendeteli tutti quanti.




A Zacinto (Ugo Foscolo)


Né più mai toccherò le sacre sponde
 ove il mio corpo fanciulletto giacque,
 Zacinto mia, che te specchi nell'onde
 del greco mar da cui vergine nacque


Venere, e fea quelle isole feconde
 col suo primo sorriso, onde non tacque
 le tue limpide nubi e le tue fronde
 l'inclito verso di colui che l'acque


cantò fatali, ed il diverso esiglio
 per cui bello di fama e di sventura
 baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.


Tu non altro che il canto avrai del figlio,
 o materna mia terra; a noi prescrisse
 il fato illacrimata sepoltura.


Oggi, non so come mai, ma al termine di una settimana densa di avvenimenti, ho ripensato alle poesie.
Fin da piccolo ricordo di averne imparate a memoria diverse. Se per la prima ho dei dubbi su quale considerare, forse Rio Bo' di Aldo Palazzeschi o magari qualche altra cosa, ho pero' deciso di considerare per prima una filastrocca di Gianni Rodari "Il mago di Natale". Credo che in terza elementare abbiamo fatto la recita di Natale e una delle rappresentazioni era la nascita di Gesù Bambino. Io facevo San Giuseppe e ricordo ancora la prima frase "Oh, Maria, ecco infine siam giunti a Betlemme...". Poi ricordo che c'erano tre o quattro osterie con i compagni di classe che facevano gli osti e da dietro delle porte alle quali bussavo chiedendo riparo per la notte urlavano "siamo pieni" o frasi del genere. Non ricordo, ad esempio, chi fosse Maria o dove facemmo quella recita. Alla fine dello spettacolo, avevo imparato a memoria la poesia di Rodari di cui ricordo oggi solo le assonanza di Via Buozzi con i maritozzi e Via della Susanna con i maritozzi con la panna.

L'ultima poesia che ho imparato a memoria, invece, è stata "A Zacinto", di Foscolo. Foscolo è uno dei miei poeti preferiti, forse perché mi piacciono "quelli tristi" (stile anche Leopardi...). Ricordo che il primo giorno di interrogazioni alla maturità, il membro di italiano chiese ad un mio compagno di classe interrogato se sapeva una poesia a memoria. Egli rispose negativamente, ma nel pomeriggio, il giorno dopo sarebbe stato il mio turno, imparai a memoria "A Zacinto". Inutilmente, perché alla mia interrogazione non mi chiese se avevo una poesia a memoria..... la studiai per niente, ma mi è rimasta in testa (l'unica direi) per un sacco di tempo. Solo ora, dopo ormai più di 20 anni, incomincio ad incepparmi dopo il "bacio' la sua pietrosa Itaca Ulisse". Segno dei tempi che passano. L'Infinito, il Sabato nel Villaggioil Passero Solitario, Tre donne intorno al cor mi son venute e chissà quante sono finite già nel macinapensieri. Se mi succederà come a mio nonno mi ritorneranno tutte alla mente quando sarà mooolto in là con gli anni! Chi vivrà vedrà.

Comunque non so se vi ricordate il mistero di imparare a memoria una poesia: ognuno avrà il suo metodo ma il mio consisteva nel leggere, rileggere e ripetere il testo per piccole parti. Poi cercavo, partendo dall'inizio, di ripetere il tutto un passo alla volta, avendo in testa non tanto le parole quanto il ritmo per seguire magicamente la poesia. Ogni appiglio era valido per cercare di rafforzare la memoria ed aiutarmi ad arrivare in fondo, una parola particolare, una rima strana, un periodo con una punteggiatura particolare.
All'inizio si inciampa che è un piacere, inserendo imprecazioni quando si arriva al "buco mentale" che fa perdere il ritmo e poi, ad un certo punto, tutto si incastra e si riesce ad arrivare in fondo. Arrivato lì il più è fatto, basta poi mantenere una sorta di allenamento per tenere in caldo la poesia ed ecco essere in grado di affrontare la platea! Chissà se oggi saprei imparare ancora una poesia a memoria?

Per terminare questa indegna analisi letteraria, ricordo che l'artista piu' amato per imparare le poesie a memoria è stato Ungaretti: in quanto ermetista era un artista di poche parole: la poesia allora era pronta in men che non si dica. Un esempio? Eccolo!

Giuseppe Ungaretti, L'Allegria, Soldati
            Si sta come
             d'autunno
             sugli alberi
             le foglie

Allora, tra le preoccupazioni della vita e gli appigli della memoria ecco che anche questo disamina mi ha dato un po' di buon umore ed è per questo che ho voluto chiudere in bellezza con un componimento poetico redatto per l'occasione. Reputo i sonetti il modo di scrivere poesie più bello. "E'un breve componimento poetico, tipico soprattutto della letteratura italiana, il cui nome deriva dal provenzale sonet (suono, melodia) che si riferiva in genere a una canzone con l'accompagnamento della musica. Nella sua forma tipica, è composto da quattordici versi endecasillabi raggruppati in due quartine (fronte) a rima alternata o incrociata e in due terzine (sirma) a rima varia."
Con un sonetto hai abbastanza spazio per scrivere un concetto e non perderti tra mille rivoli (tipo il 5 Maggio di Manzoni), puoi riuscire a scrivere in endecasillabi cose allegre e cose tristi (con rime più brevi il ritmo è solo allegro ad esempio) e puoi cambiare l'ordine delle rime con un briciolo di fantasia! E poi le rime a me piacciono!

Di solito ogni poesia è accompagnata da una descrizione ma se faccio il poeta non posso fare anche "Natalino Sapegno" (alle superiori era la nostra antologia): in conflitto di interessi sarebbe troppo. Ma penso che già quanto scritto dia abbastanza elementi per aiutare a comprendere lo stato d'animo e dare una chiave di lettura alla poesia. Leggetevela e dategli l'interpretazione ed il giudizio che vi pare.

Alla prossima!

A me stesso


Diego Ferrazzin


Periodo secco proprio più di un ramo
e sembra non voler piu' terminare;
così se quando in macchina a tornare,
t'accorgi di un fatto molto gramo


ovvero che malgrado il pedalare
che un perfido destino ha ben tramo
alcuni dei tasselli che piu' bramo
han preso un pochettino a combaciare


allora un sorrisino puo' apparire
in questa situazione surreale
ed in questa forma sua semplice ed aperta


gran carica ti da', e che scoperta!
Si sa che quando tutto par sleale
ti basta una pagliuzza ad impettire!

2011-07-27

L'adozione internazionale: un grande progetto per un grande gesto d'amore

Il bambino non è proprietà dei genitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e in modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di Dio. (Papa Benedetto XVI)

Salve, in vista del termine del periodo post-adottivo, ecco una intervista speciale fatta a noi stessi. Un sentito grazie a tutti quelli che ci hanno aiutato in questo percorso!
Sono (siamo) convinti che a dirne qualcuno ce ne dimenticheremmo di altri per cui farne un elenco è impossibile ma sappiate che siamo riconoscenti davvero a tante persone!

La vita è fatta di scelte, progetti e risultati. Ognuno si confronta con se stesso e gli altri per poter raggiungere degli obiettivi che spaziano dalla soddisfazione lavorativa a quella familiare. Il percorso dell'adozione internazionale è un progetto di ampio respiro che coinvolge non solo le persone che lo vogliono intraprendere ma anche i parenti, i vicini e persino l'ambiente di lavoro che frequentano. Quanto segue sono delle  considerazioni personali che entrano nella sfera personale di chi scrive e non vogliono assolutamente essere appariscenti né insegnamenti. Se qualcuno volesse approfondire basta si faccia pure vivo!

Perché adottare un figlio?
Quando si mette su famiglia un misto tra desiderio e spirito di conservazione della specie fa pensare di avere dei figli. Nel nostro caso già durante il fidanzamento ci siamo posti la questione e quasi incoscientemente, con l'età dell'epoca, ci siamo risposti "perché no?". Tanto è vero che abbiamo iniziato l'iter adottivo prima che nascesse nostro figlio biologico e una volta arrivato abbiamo continuato tale percorso. L'aspetto fondamentale nella risposta è di non pensare di farlo per noi stessi ma per qualcuno che non conosci assolutamente e per il quale darai senza guardare a quello che riceverai. Il processo di adozione, sia nazionale che internazionale, è basato sulla Convenzione dell'Aja nella quale è esplicitato che lo scopo è quello di dare una famiglia al minore e non un figlio ad una coppia di genitori. Sulla base di questo assunto viene data priorità ai familiari del bimbo, il coinvolgimento di persone estranee è visto come l'ultima spiaggia. I bimbi adottabili sono di solito i casi più disperati che non hanno avuto soluzione tra le mura domestiche e con una adozione locale. Pensate al trauma per un bimbo di cambiare nazione, lingua, consuetudini pur con il vantaggio di trovare una famiglia che lo accolga.

Come funziona?
Il percorso dell'adozione è lungo e quando si parte bisogna essere animati dal piu' elevato ottimismo e da una pazienza da far impallidire quella di Giobbe. Ogni paese ed ogni ente di adozione ha le sue regole, per cui quello che segue è solo la “nostra” esperienza adottiva, con aspetti diversi o uguali rispetto a tante altre.

Il passo "zero" è quello di informarsi il piu' possibile e testare le proprie convinzioni. In ciò si è normalmente guidati dai Centri per l’Adozione che organizzano corsi per chi intende iniziare il percorso adottivo.

Il primo passo riguarda la richiesta di idoneità all'adozione, sia questa nazionale che internazionale. Va inoltrata presso il tribunale dei minori preparando una valanga di documenti. Durante l'iter si viene ascoltati da assistenti sociali, psicologi ed infine dal giudice e dopo un periodo teorico di 4 mesi (ma sono in realtà molti di più) il tribunale accoglie o meno la richiesta ed emette il decreto di idoneità, nel quale vengono riportati elementi molto importanti e vincolanti tra cui il numero e la finestra di età dei bimbi che la coppia è disposta ad accogliere.

A questo punto si ha un anno di tempo per trovarsi un ente che seguirà il percorso adottivo: questo secondo passo prevede di informarsi molto bene in funzione di dove si vuole andare ad adottare (ogni ente copre solo alcune zone del globo). Ce ne sono di grandi e di piccoli: noi che volevamo adottare in America Latina, in un paese che parlasse spagnolo, per ragioni di affinità, abbiamo scelto un piccolo ente proprio nella città di  Prato che segue tra gli altri paesi come Perù e Colombia. La famosa valanga di documenti prodotta per ottenere l’idoneità all'adozione, va rifatta con l'aggravante di altri documenti, traduzioni ed autentiche, sulla base di quanto richiesto dal paese dove si intende adottare. Non lo sapevate, ma dopo aver ottenuto il decreto di idoneità dal Tribunale, anche il paese di destinazione vuole dire la sua al riguardo dell’idoneità
della coppia ad adottare: dopo qualche mese di scambi di documenti vari e di eventuali integrazioni (con il rischio di essere rifiutati) dove ogni nota doveva essere autenticata-tradotta-spedita anche la controparte accetta la coppia e la dichiara “apta”. A questo punto comincia l'attesa: tutte le coppie del mondo che hanno fatto domanda in quel paese, mese dopo mese attendono che venga fatto un abbinamento tra loro ed un bambino da una apposita commissione. Per diversi mesi, nel nostro caso “solo” 9, stai lì a rosolare e poi, tutto ad un tratto, l’ente ti chiama per annunciarti che c’è stato il tanto atteso abbinamento e ti invita a pronunciarti sullo stesso entro i sei giorni successivi.

Inizia così il terzo passo, che rispetto alla staticità del precedente è una scossa di adrenalina: preparare le valige, avere i permessi di maternità/lavoro, organizzare il viaggio da fare nel più breve tempo possibile (massimo un mese). Arrivare nel paese di destinazione, seguire l'iter adottivo locale, che nel nostro caso si è svolto con dieci giorni di visite presso l’istituto che ospitava il nostro piccolo, una settimana tutti assieme in famiglia, al termine della quale siamo diventati concretamente ed ufficialmente genitori del nostro cucciolo, tanto da poterlo registrare all'anagrafe locale ed attivare tutte le procedure per ottenere la documentazione necessaria per tornare in Italia (certificato di nascita, passaporto peruviano, visto di ingresso in Italia), il tutto è avvenuto in ulteriori 10 giorni. Abbiamo preso più taxi in Perù in un mese che in tutto il resto della nostra vita fino ad oggi. In un mese si concentrano emozioni, adrenalina, problemi, corse indescrivibili che nel nostro caso erano rese più difficoltose dal fatto che ci portavamo dietro il nostro primogenito che si è dimostrato di una maturità stupefacente per i suoi due anni e mezzo dell'epoca.

Il quarto ed ultimo passo (“ultimo” solo nella procedura adottiva, non nell’Adozione con la “A” maiuscola!) è il rientro in Italia: iscrivi il bimbo nello stato di famiglia, prima in attesa della sentenza del tribunale come “convivente”, poi finalmente come “figlio”, richiedi ed ottieni il codice fiscale ed il libretto sanitario. Per i successivi tre anni la coppia si impegna a mandare al paese di origine ogni 6 mesi una relazione corredata da diversi documenti, per testimoniare il buon inserimento del minore in famiglia. Come? Ma si' certo, redatte - tradotte - autenticate pure quelle!

Ed adesso?
Ora ci sentiamo delle persone che hanno vissuto una esperienza in più, formate in aspetti che forse non avremmo provato altrimenti: vedere la dignitosa povertà dell’istituto dove aveva vissuto nostro figlio, tutti i bimbi piccoli che aspettavano una famiglia e con molta probabilità l’avrebbero avuta e nel contempo tutti quei bambini già più grandi e ragazzi alla soglia della maggiore età, consci del fatto che per loro “la famiglia” era probabilmente solo un “sogno” (sono poche le coppie che danno la propria disponibilità ad accogliere "bambini" di 15 anni o diversamente abili ), forgiare la propria pazienza, mantenere l'ottimismo, vedere un paese non da turista, conoscere persone (ad esempio assistenti sociali, volontari) che cercano di dare un futuro comunque a quei bimbi. Ora cerchiamo di fornire più informazioni possibili a chiunque si voglia avvicinare al mondo dell’adozione con una testimonianza concreta, cercando di diffondere il messaggio che l’adozione è “per tutti” coloro che si sentono pronti ad “accogliere” e con questo intendiamo anche per le coppie che hanno già figli biologici. Cerchiamo di partecipare a raduni con altre coppie che hanno adottato bimbi! Vederli tutti assieme fa ricordare il periodo passato all'estero per l'adozione e carica i bimbi stessi di vivacità. Infine pensiamo che anche il nostro primogenito abbia avuto grandi insegnamenti da questa avventura.

Lo rifareste?
Senza esitazioni la risposta è “Sì”! Ci reputiamo, comunque, molto fortunati nell'iter di adozione percorso, in quanto alla fine è stato di una durata non eccessiva, dal 2004 al 2008, per le prime tre fasi e si conclude proprio questo mese per il post-adozione (quarta fase). Avendo, nel frattempo, avuto un figlio biologico, ciò ci ha permesso, gioco forza, di non lasciare scandire il nostro tempo da quello del percorso adottivo, che fa percepire il tempo “dilatato all'ennesima potenza” , anche se l’attesa dell’abbinamento è stata comunque vissuta come “lunghissima”, e dall'altro di adottare un bambino piccolo (altre coppie trovate lungo il percorso avevano comunque in adozione bambini di 4-5 anni) in virtù del fatto che la legge italiana prevede di mantenere il diritto di primogenitura tra i bimbi naturali. Questo vincolo di primogenitura avrebbe potuto comportare attese molto lunghe: considerato che nella maggior parte dei casi l’età dei bimbi adottati in Perù è maggiore di quattro anni, noi eravamo preparati ad attendere che il nostro primogenito avesse compiuto i 6-7 anni per essere abbinati ad un bimbo dell’età di 4-5 anni, ma alla fine è andata diversamente. Tutto ciò a dimostrazione che ogni adozione è un caso a se e che le “statistiche” che accompagnano le ipotesi della  coppia che è in attesa non sempre vengono confermate.

Cosa vi aspettate ora?
Nulla, abbiamo un secondo figlio (che per legge deve sapere di essere stato adottato). Gli manterremo la doppia cittadinanza fino a che sarà maggiorenne e poi deciderà lui a riguardo! Nel frattempo faremo del nostro meglio.

2011-07-03

La moto ed un consiglio: Divertitevi e godetevela!

Certe volte basta pensare a qualcosa successo nel passato e si spalancano le porte della memoria inondandoti di ricordi. Non serve avere le idee chiare, basta quasi distrarsi un attimo avendo in testa un argomento ed ecco che cose belle e cose brutte si riaffacciano in testa. Ad esempio, mi è bastato ripensare in un momento di svago alle motociclette, che una serie di eventi si sono materializzati. Uno riguarda la mia infanzia: avevo, penso, tre o quattro anni, quando abitavamo nel quartiere di S.Osvaldo a Bolzano. La casa era sulle pendici del Monte Tondo e, verso sera, scendevamo io e mamma nella via omonima ad aspettare papa' che tornava dal lavoro. All'epoca aveva una lambretta gialla (senza targa per cui penso un cinquantino) e mi ricordo di una volta che mi ha fatto fare un giro con lui. Ero dietro e lo tenevo stretto con la guancia schiacciata alla sua schiena. Un altro ricordo ce l'ho a 14 anni: compiuti da poco, ed ancora quando il casco non era obbligatorio, mio cugino mi prestò il suo Ciao Bianco. Mi ricordo il ritorno dal Piazza Dogana a Viale Europa (sempre a Bolzano) guidandolo: l'aria in testa ed il rumore del motorino non attutito dal casco li sento ancora come fosse ieri (ma sono convinto che il casco vada sempre usato). Dopo questa parentesi, ecco il primo motorino: un Malaguti Fifty nero a 4 marce con le scritte dorate, un vero mito per l'epoca (almeno per me) con il quale sono andato su e giù per Bolzano e dintorni. Aveva il brutto difetto che la mascherina frontale (con la luce ed il clacson) veniva via facilmente ed in un paio di occasioni ho avuto la sgradevole sorpresa di aver avuto il furto del componente. Dopo il motorino e sostenuto l'esame per la patente A, sorta di prima iniziazione all'età adulta, ecco la moto: ho potuto guidare per qualche tempo una Vespa PX 125 celeste, tre marce al manubrio e via! Ricordo la massima velocità raggiunta, in un tratto in discesa nello stradone da Laives a Bolzano, 105 km/h con il motore monocilindrico che sembrava tirare gli ultimi. Penso che in realtà fossero molti meno ma in quel momento cosa importava? Quasi al termine dell'università poi l'acquisto più importante: una Yamaha FZR600 di seconda mano con la quale ho girato tante strade/stradine della Toscana. Avevo la cartina della zona della quale evidenziavo il percorso ogni volta che uscivo. Il sabato la accendevo ed andavo a scoprire
dei piccoli particolari vicino a casa. Fauglia, il Ponte del Diavolo in Garfagnana, Chianni, tutti percorsi che mal si adattavano ad una moto da strada carenata ma che non avrei cambiato con nulla altro al mondo. Poi, il piacere più bello era il saluto tra centauri sconosciuti quando ci incrociavamo per la strada. Ora la moto è in garage, ogni anno penso che "la rimetto a posto" ma poi lascio perdere il desiderio.

Rivissuti tutti questi ricordi, ho pensato a qualche amico centauro ed ho approfittato di uno di questi per fargli qualche domanda. L'ho scelto perché "ama" un tipo di moto totalmente diversa da quella che piace a me e sembra vivere la passione molto più intensamente del sottoscritto (non ha "abbandonato" il mezzo in garage ad esempio). Quindi mi è sembrato il modo migliore di chiudere l'argomento motociclistico. Fatemi sapere anche i vostri punti di vista!

D.: Perchè sei affascinato dalle moto come mezzo di locomozione? 

R.: Primo perchè ricordano i mezzi di trasporto dell'antichità: i cavalli (nostalgico o romantico - tutti e due i significati) secondo per il vento in faccia, terzo per il senso di libertà che ti dona...

D.: Quale dovrebbe essere, oltre a quella di legge, la preparazione di un centauro per una guida sicura? 
R.: capire che si è su due ruote...il primo capitombolo senza troppi danni è d'obbligo per diventare prudenti ed il secondo serve a capire che la mano destra del gas deve sempre essere usata con morigerazione.

D.: Quali sono a tuo avviso i comportamenti leciti piu' pericolosi che un centauro puo' tenere? 
R.: il rischio del sorpasso senza visuale o al limite della staccata...

D.: E quali sono le azioni apparentemente corrette degli altri ma che possono essere maggiore causa di pericoli per i centauri? 
R.: purtroppo sei un moscerino con le due ruote e con i vari punti ciechi che possiede un auto sei sempre in pericolo.

D.: Come vedi il rischio dello scroscio di pioggia durante un lungo viaggio? 
R.: lo scroscio non è pericoloso di per se...bisogna dopo ritarare la velocità/frenata quindi avere sempre la velocità consona alla strada da percorrere (higway-curves...)

D.: Come mai, tra tanti modelli, sei affascinato da quelli Harley Davidson? 
R.: E' stato un passo maturato negli anni, la voglia di cambiare moto, un piccolo dritto in rotonda con piccola caduta a due passi da casa con una Suzuki BANDIT dopo 1600km in 2gg in solitaria, riflessioni...e amore a prima vista. Ora dopo aver cambiato modello di HD, sono felice possessore di un Fat Boy bianco a carburatori...detto tutto!

D.: Ho sempre pensato che tali modelli fossero adatti per guide in pianure sterminate. 
Perché riscuotono tanto successo anche nel nostro paese (tutto curve e montagne)? 
R.: Perché è filosofia, passione e amore...tutto in un mezzo che si adatta a te come un vestito di alta sartoria...

D.: So che ogni anno partecipi ad un raduno di appassionati. Puoi raccontarci di piu' al riguardo? 
R.: Il raduno in Europa è il FAAKER SEE-European bike week con più di 150000 moto. Bisogna esserci e viverlo per capire la grande festa...ANDATECI!

D.: Leopardi scrisse che l'attesa dell'evento è piu' dolce che l'evento stesso. Come vivi la preparazione al viaggio? 
R.: Preparazione diversi mesi prima per "IL RADUNO" in Austria...ma è sempre emozionante da far battere il cuore un pò più forte quando ci pensi.

D.: Cosa direbbe, se potesse parlare, la Tua moto di Te? 
R.: Che sono maraglio talvolta (quando le monto le corna per raduni) ma che in fin dei conti la tratto bene...e che le ho dato un nome carino: MUCCHINA!

D.: Ultima domanda. La tua dolce metà la vorresti sempre sul sellino posteriore della tua moto o che guidasse il suo mezzo insieme a te? Perché? 
R.: E' un sogno avere sempre la metà con se...ma a volte le passioni non sono simili quindi ci rispettiamo a vicenda...ma quando è in sella tutto cambia e diventa meraviglioso, una giornata di sole!
 
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