Il bambino non è proprietà dei genitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e in modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di Dio. (Papa Benedetto XVI)
Salve, in vista del termine del periodo post-adottivo, ecco una intervista speciale fatta a noi stessi. Un sentito grazie a tutti quelli che ci hanno aiutato in questo percorso!
Sono (siamo) convinti che a dirne qualcuno ce ne dimenticheremmo di altri per cui farne un elenco è impossibile ma sappiate che siamo riconoscenti davvero a tante persone!
La vita è fatta di scelte, progetti e risultati. Ognuno si confronta con se stesso e gli altri per poter raggiungere degli obiettivi che spaziano dalla soddisfazione lavorativa a quella familiare. Il percorso dell'adozione internazionale è un progetto di ampio respiro che coinvolge non solo le persone che lo vogliono intraprendere ma anche i parenti, i vicini e persino l'ambiente di lavoro che frequentano. Quanto segue sono delle considerazioni personali che entrano nella sfera personale di chi scrive e non vogliono assolutamente essere appariscenti né insegnamenti. Se qualcuno volesse approfondire basta si faccia pure vivo!
Perché adottare un figlio?
Quando si mette su famiglia un misto tra desiderio e spirito di conservazione della specie fa pensare di avere dei figli. Nel nostro caso già durante il fidanzamento ci siamo posti la questione e quasi incoscientemente, con l'età dell'epoca, ci siamo risposti "perché no?". Tanto è vero che abbiamo iniziato l'iter adottivo prima che nascesse nostro figlio biologico e una volta arrivato abbiamo continuato tale percorso. L'aspetto fondamentale nella risposta è di non pensare di farlo per noi stessi ma per qualcuno che non conosci assolutamente e per il quale darai senza guardare a quello che riceverai. Il processo di adozione, sia nazionale che internazionale, è basato sulla Convenzione dell'Aja nella quale è esplicitato che lo scopo è quello di dare una famiglia al minore e non un figlio ad una coppia di genitori. Sulla base di questo assunto viene data priorità ai familiari del bimbo, il coinvolgimento di persone estranee è visto come l'ultima spiaggia. I bimbi adottabili sono di solito i casi più disperati che non hanno avuto soluzione tra le mura domestiche e con una adozione locale. Pensate al trauma per un bimbo di cambiare nazione, lingua, consuetudini pur con il vantaggio di trovare una famiglia che lo accolga.
Come funziona?
Il percorso dell'adozione è lungo e quando si parte bisogna essere animati dal piu' elevato ottimismo e da una pazienza da far impallidire quella di Giobbe. Ogni paese ed ogni ente di adozione ha le sue regole, per cui quello che segue è solo la “nostra” esperienza adottiva, con aspetti diversi o uguali rispetto a tante altre.
Il passo "zero" è quello di informarsi il piu' possibile e testare le proprie convinzioni. In ciò si è normalmente guidati dai Centri per l’Adozione che organizzano corsi per chi intende iniziare il percorso adottivo.
Il primo passo riguarda la richiesta di idoneità all'adozione, sia questa nazionale che internazionale. Va inoltrata presso il tribunale dei minori preparando una valanga di documenti. Durante l'iter si viene ascoltati da assistenti sociali, psicologi ed infine dal giudice e dopo un periodo teorico di 4 mesi (ma sono in realtà molti di più) il tribunale accoglie o meno la richiesta ed emette il decreto di idoneità, nel quale vengono riportati elementi molto importanti e vincolanti tra cui il numero e la finestra di età dei bimbi che la coppia è disposta ad accogliere.
A questo punto si ha un anno di tempo per trovarsi un ente che seguirà il percorso adottivo: questo secondo passo prevede di informarsi molto bene in funzione di dove si vuole andare ad adottare (ogni ente copre solo alcune zone del globo). Ce ne sono di grandi e di piccoli: noi che volevamo adottare in America Latina, in un paese che parlasse spagnolo, per ragioni di affinità, abbiamo scelto un piccolo ente proprio nella città di Prato che segue tra gli altri paesi come Perù e Colombia. La famosa valanga di documenti prodotta per ottenere l’idoneità all'adozione, va rifatta con l'aggravante di altri documenti, traduzioni ed autentiche, sulla base di quanto richiesto dal paese dove si intende adottare. Non lo sapevate, ma dopo aver ottenuto il decreto di idoneità dal Tribunale, anche il paese di destinazione vuole dire la sua al riguardo dell’idoneità
della coppia ad adottare: dopo qualche mese di scambi di documenti vari e di eventuali integrazioni (con il rischio di essere rifiutati) dove ogni nota doveva essere autenticata-tradotta-spedita anche la controparte accetta la coppia e la dichiara “apta”. A questo punto comincia l'attesa: tutte le coppie del mondo che hanno fatto domanda in quel paese, mese dopo mese attendono che venga fatto un abbinamento tra loro ed un bambino da una apposita commissione. Per diversi mesi, nel nostro caso “solo” 9, stai lì a rosolare e poi, tutto ad un tratto, l’ente ti chiama per annunciarti che c’è stato il tanto atteso abbinamento e ti invita a pronunciarti sullo stesso entro i sei giorni successivi.
Inizia così il terzo passo, che rispetto alla staticità del precedente è una scossa di adrenalina: preparare le valige, avere i permessi di maternità/lavoro, organizzare il viaggio da fare nel più breve tempo possibile (massimo un mese). Arrivare nel paese di destinazione, seguire l'iter adottivo locale, che nel nostro caso si è svolto con dieci giorni di visite presso l’istituto che ospitava il nostro piccolo, una settimana tutti assieme in famiglia, al termine della quale siamo diventati concretamente ed ufficialmente genitori del nostro cucciolo, tanto da poterlo registrare all'anagrafe locale ed attivare tutte le procedure per ottenere la documentazione necessaria per tornare in Italia (certificato di nascita, passaporto peruviano, visto di ingresso in Italia), il tutto è avvenuto in ulteriori 10 giorni. Abbiamo preso più taxi in Perù in un mese che in tutto il resto della nostra vita fino ad oggi. In un mese si concentrano emozioni, adrenalina, problemi, corse indescrivibili che nel nostro caso erano rese più difficoltose dal fatto che ci portavamo dietro il nostro primogenito che si è dimostrato di una maturità stupefacente per i suoi due anni e mezzo dell'epoca.
Il quarto ed ultimo passo (“ultimo” solo nella procedura adottiva, non nell’Adozione con la “A” maiuscola!) è il rientro in Italia: iscrivi il bimbo nello stato di famiglia, prima in attesa della sentenza del tribunale come “convivente”, poi finalmente come “figlio”, richiedi ed ottieni il codice fiscale ed il libretto sanitario. Per i successivi tre anni la coppia si impegna a mandare al paese di origine ogni 6 mesi una relazione corredata da diversi documenti, per testimoniare il buon inserimento del minore in famiglia. Come? Ma si' certo, redatte - tradotte - autenticate pure quelle!
Ed adesso?
Ora ci sentiamo delle persone che hanno vissuto una esperienza in più, formate in aspetti che forse non avremmo provato altrimenti: vedere la dignitosa povertà dell’istituto dove aveva vissuto nostro figlio, tutti i bimbi piccoli che aspettavano una famiglia e con molta probabilità l’avrebbero avuta e nel contempo tutti quei bambini già più grandi e ragazzi alla soglia della maggiore età, consci del fatto che per loro “la famiglia” era probabilmente solo un “sogno” (sono poche le coppie che danno la propria disponibilità ad accogliere "bambini" di 15 anni o diversamente abili ), forgiare la propria pazienza, mantenere l'ottimismo, vedere un paese non da turista, conoscere persone (ad esempio assistenti sociali, volontari) che cercano di dare un futuro comunque a quei bimbi. Ora cerchiamo di fornire più informazioni possibili a chiunque si voglia avvicinare al mondo dell’adozione con una testimonianza concreta, cercando di diffondere il messaggio che l’adozione è “per tutti” coloro che si sentono pronti ad “accogliere” e con questo intendiamo anche per le coppie che hanno già figli biologici. Cerchiamo di partecipare a raduni con altre coppie che hanno adottato bimbi! Vederli tutti assieme fa ricordare il periodo passato all'estero per l'adozione e carica i bimbi stessi di vivacità. Infine pensiamo che anche il nostro primogenito abbia avuto grandi insegnamenti da questa avventura.
Lo rifareste?
Senza esitazioni la risposta è “Sì”! Ci reputiamo, comunque, molto fortunati nell'iter di adozione percorso, in quanto alla fine è stato di una durata non eccessiva, dal 2004 al 2008, per le prime tre fasi e si conclude proprio questo mese per il post-adozione (quarta fase). Avendo, nel frattempo, avuto un figlio biologico, ciò ci ha permesso, gioco forza, di non lasciare scandire il nostro tempo da quello del percorso adottivo, che fa percepire il tempo “dilatato all'ennesima potenza” , anche se l’attesa dell’abbinamento è stata comunque vissuta come “lunghissima”, e dall'altro di adottare un bambino piccolo (altre coppie trovate lungo il percorso avevano comunque in adozione bambini di 4-5 anni) in virtù del fatto che la legge italiana prevede di mantenere il diritto di primogenitura tra i bimbi naturali. Questo vincolo di primogenitura avrebbe potuto comportare attese molto lunghe: considerato che nella maggior parte dei casi l’età dei bimbi adottati in Perù è maggiore di quattro anni, noi eravamo preparati ad attendere che il nostro primogenito avesse compiuto i 6-7 anni per essere abbinati ad un bimbo dell’età di 4-5 anni, ma alla fine è andata diversamente. Tutto ciò a dimostrazione che ogni adozione è un caso a se e che le “statistiche” che accompagnano le ipotesi della coppia che è in attesa non sempre vengono confermate.
Cosa vi aspettate ora?
Nulla, abbiamo un secondo figlio (che per legge deve sapere di essere stato adottato). Gli manterremo la doppia cittadinanza fino a che sarà maggiorenne e poi deciderà lui a riguardo! Nel frattempo faremo del nostro meglio.
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Complimenti vivissimi caro Diego, Maria e prole! Tanti tanti auguri perchè possiate essere sempre "tutti e quattro una bella" e felicissima " famiglia". Ammiro la vostra scelta ed il vostro coraggio. Con affetto
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