2011-09-29

Ad un passo dalla meta tutto può crollare



« Canto XXVII, dove tratta di que’ medesimi aguatatori e falsi consiglieri d’inganni in persona del conte Guido da Montefeltro. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)


Salve, sono di ritorno dalla partita del calcetto del giovedì durante la quale è accaduto qualcosa che mi ha fatto riflettere. La partita è stata bella e tirata con azioni da una e dall'altra parte. Immodestamente sono convinto di aver fatto una bella partita: due bei gol su azione, buona difesa, passaggi giusti, difesa grintosa e vittoria finale. La cosa strana è che il tutto è stato oscurato da un evento che ha fatto passare nelle discussioni post partita tutto in secondo piano: ad un certo punto mi è parso di aver subito un fallo al seguito del quale c'e' stato un gol degli avversari e ho chiesto il fallo. Dopo una breve discussione è stato deciso di non darmi retta e via a giocare. Il fatto di per sè mi è dispiaciuto per due motivi: il primo è quando giochi senza arbitro bisogna fidarsi e quando si chiamano queste cose si fa sulla fiducia. Fino alla partita prima mi era sembrato di avere questa fiducia, se penso di aver toccato la palla per ultimo lo faccio notare, se faccio un fallo lo dico, chiaro essendo un giocatore non posso rendermi conto di tutto quello che faccio e sicuramente qualcosa mi sfuggirà ma non metto mai in dubbio le chiamate degli altri che io ne sia d'accordo o meno. Al massimo dico "sei sicuro?" e poi via a giocare (in fondo siamo lì a divertirci e non a litigare). Ma è bastato che chiedessi qualcosa di diverso ed ho avuto l'impressione di essere passato istantaneamente tra quelli che invece chiedono il fallo apposta per evitare un gol valido. La seconda cosa che mi ha dato da  pensare è stato che la discussione sul fallo o meno sia andata avanti a lungo come se fosse il fatto della serata. Dal mio punto di vista, giusto o sbagliato che sia, per me il fallo c'era se poi sono l'unico ad averlo visto cosa cambia? Pazienza, abbiamo continuato a giocare amici come prima.

Bene questa discussione mi ha fatto tornare alla mente un personaggio della "Divina Commedia", Guido da Montefeltro che dopo averne fatte di tutti i colori nei tumultuosi periodi del Medio Evo italiano, quando ormai pentito e portato a fare una vita tranquilla e retta viene quasi costretto a dare un consiglio ad un Papa per opporsi ad una fazione nemica, rovinando quello che di buono avendo fatto agli occhi del Signore proprio alla fine della sua vita, trovandosi un diavolo filosofo che riuscì ad opporsi a San Francesco nella disputa per la sua anima, e venendo confinato nell'ottava bolgia dell'inferno. Altro esempio che per un caso specifico tutto quanto poi fatto di buono svanisce.

Basta davvero poco. Davvero...

Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato
 al modo suo, l’aguta punta mosse
 di qua, di là, e poi diè cotal fiato:

 "S’i’ credesse che mia risposta fosse
 a persona che mai tornasse al mondo,
 questa fiamma staria sanza più scosse;

 ma però che già mai di questo fondo
 non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
 sanza tema d’infamia ti rispondo.

Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero,
 credendomi, sì cinto, fare ammenda;
 e certo il creder mio venìa intero,

 se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!,
 che mi rimise ne le prime colpe;
 e come e quare, voglio che m’intenda.

 Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
 che la madre mi diè, l’opere mie
 non furon leonine, ma di volpe.

 Li accorgimenti e le coperte vie
 io seppi tutte, e sì menai lor arte,
 ch’al fine de la terra il suono uscie.

 Quando mi vidi giunto in quella parte
 di mia etade ove ciascun dovrebbe
 calar le vele e raccoglier le sarte,

 ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe,
 e pentuto e confesso mi rendei;
 ahi miser lasso! e giovato sarebbe.

 Lo principe d’i novi Farisei,
 avendo guerra presso a Laterano,
 e non con Saracin né con Giudei,

 ché ciascun suo nimico era cristiano,
 e nessun era stato a vincer Acri
 né mercatante in terra di Soldano,

 né sommo officio né ordini sacri
 guardò in sé, né in me quel capestro
 che solea fare i suoi cinti più macri.

 Ma come Costantin chiese Silvestro
 d’entro Siratti a guerir de la lebbre,
 così mi chiese questi per maestro

 a guerir de la sua superba febbre;
 domandommi consiglio, e io tacetti
 perché le sue parole parver ebbre.

 E’ poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti;
 finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
 sì come Penestrino in terra getti.

 Lo ciel poss’io serrare e diserrare,
 come tu sai; però son due le chiavi
 che ’l mio antecessor non ebbe care".

 Allor mi pinser li argomenti gravi
 là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,
 e dissi: "Padre, da che tu mi lavi

 di quel peccato ov’io mo cader deggio,
 lunga promessa con l’attender corto
 ti farà trïunfar ne l’alto seggio".

 Francesco venne poi, com’io fu’ morto,
 per me; ma un d’i neri cherubini
 li disse: "Non portar; non mi far torto.

 Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini
 perché diede ’l consiglio frodolente,
 dal quale in qua stato li sono a’ crini;

ch'assolver non si può chi non si pente,
 né pentere e volere insieme puossi
 per la contradizion che nol consente".

 Oh me dolente! come mi riscossi
 quando mi prese dicendomi: "Forse
 tu non pensavi ch’io löico fossi!".

Fonte wikipedia.

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